Con Stellantis che va in apnea per realizzare a Piedimonte San Germano la trasformazione delle linee di produzione tradizionale nelle moderne piattaforme elettriche, alla Provincia di Frosinone servivano due cose: un’occasione ed una ciambella di salvataggio.

La prima è stata tetra e non avremmo mai voluto averla, ma è arrivata. Ed assieme a morte, paura e mesi bui il Covid ha portato uno scossone al sistema-società italiano che è andato ben oltre le coscienza collettiva in tema di salute. Da noi la ciambella di salvataggio stava e sta a nord di Piedimonte-Cassino: risiedeva ad Anagni. Cioè dove il Polo chimico ha tenuto la linea di galleggiamento del lavoro fino a fare statistica.

Ed è una statistica che fotografa molto nitidamente la terra ciociara che ha avuto una reazione gagliarda davanti alla difficoltà. Ma che si è ritrovata imbrigliata nelle nuove regole di un mercato che la contiene. Che significa? Che i dati sull’occupazione nella Provincia di Frosinone sono positivi, addirittura in controtendenza con i dati regionali: ma è dato bello e purtroppo monco. Lo è se non si considerano altri fattori che a quel successo di numeri danno la polpa tridimensionale.

Il “mezzo scatto in avanti” di Frosinone

Foto Riccardo Squillantini © Imagoeconomica

Tabelle di riferimento: in Italia gli occupati sono saliti dello 0.6%, nel Lazio sono scesi dello 0,2% e in provincia di Frosinone sono schizzati ad un lusinghiero più 10,4%. Il report Eures che da Fiuggi ieri ha affrontato il tema con una due giorni organizzata dalla Uiltucs regionale non mente. Non lo fa perché non accompagna quelle cifre con i tradizionali salmi di gloria che stornellano le convinzioni dei lavoratori al punto tale da far ignorare che quelli sono dati meticci. (Leggi qui: Più lavoro ma più precario. E retribuito peggio).

Cioè numeri che presi da soli sono lusinghieri e per certi versi tali restano, ma sono stemperati in realtà di settore dove si vede più pirite che oro. Cioè roba che luccica, che sembra il biondo metallo per cui da millenni gli uomini si ammazzano ma che in realtà serve da concime. Ci sono due voci in particolare che annacquano le trombe: la precarietà e gli importi. Da settimane ormai la politica nazionale si accapiglia come non mai sul tema della Legge Finanziaria varata dal Governo Meloni, in particolare sui dati occupazionali.

Occupati, Istat e dati “pezzotti”

Dall’esecutivo fanno sapere con discrezione tale da essere uditi su Plutone che ci sono tantimatanti occupati in più. Dalle opposizioni ci si sbraccia a precisare che non puoi fare massa critica di agiografia con quelle cifre, perché l’Istat considera occupato anche un lavoratore che presta opera per tre ore a settimana. E che ovviamente, in quanto a concorrere alla formazione del Pil ed a considerare la sua una vita serena sta messo un po’ come Paperino.

Ecco, la provincia di Frosinone sta molto ma molto meglio dell’Italia in quanto a numero di occupati ma sta “peggio” dell’Italia in quanto a criteri di occupazione, proprio perché sta meglio. E’ un paradosso in pratica, per il quale dato che in Ciociaria e Cassinate le tipologie di lavoro sono cambiate ancor di più, il canone di “occupabilità” è cresciuto maggiormente.

Solo che qui da noi i lavoratori non stabili sono tanti e ben pochi di loro avrebbero anche solo l’ardire di entrare in una banca a chiedere un prestito (il tema mutuo è roba da parapsicologia). In queste ore ed in ordine alla vicenda Stellantis si è chiarito il destino mogio della ripresa dell’attività nel 2024. Uilm, Fim-Cisl, Fismic, Ugl ed Aqcf hanno incontrato i vertici aziendali ed hanno concordato il turno unico a partire dall’otto gennaio e fino a settembre 2024. A febbraio ci sarà uno step di verifica dell’accordo ed è spuntata l’opportunità della “collocazione in trasferta dei dipendenti presso altri stabilimenti o altre società del gruppo Stellantis.

Cambiano i lavoratori

(Foto © DepositPhotos.com)

Cosa significa? Che l’industria come credevamo che fosse e che sarebbe stata in futuro non c’è più. Che sono cambiati i modelli e che perfino le grandi galassie produttive del territorio stanno plasmando una nuova “stirpe” di tute blu. Stirpe fluida, disposta a cambiare vita, regione, regime esistenziale ed aspettative.

Ora, questo modello plastico è stato sfumato nei grandi ambiti di industria, ma ha dato birra parallela a nuove forme di lavoro, nelle quali il precariato è una involuzione certa ma necessaria. C’è stato sì un argine che ha mantenuto alcuni grandi sistemi complessi di produzione ancora nel pieno del loro mood di eccellenza. Ma sono isole che tra l’altro sono andate in crash a giugno di quest’anno, dati alla mano.

Il polo farmaceutico preesistente è stato occupazionalmente una manna con l’arrivo della pandemia, ma la sua temporalità era palese. Cioè: sono state fatte assunzioni per infialare i vaccini ma era chiaro che quei posti sarebbero finiti insieme alla pandemia. Siamo stati sciocchi nel non fare assolutamente niente per tenerci stretti i cento posti che sarebbero durati almeno vent’anni. Cioè quelli della ricerca e sviluppo che ad Anagni voleva realizzare Catalent. La quale, dopo due anni di inutile attesa per un certificato ha salutato e se n’è andata portandosi in Oxfordshire progetto e cento milioni d’investimento. Qui ha lasciato l’infialamento. Poca cosa.

Anagni salvaci tu, ma non è possibile

Foto © Archivio Astrazeneca

E comunque i numeri lusinghieri anche del dopo covid non compensano ciò che accade negli altri settori della provincia. E cosa accade? Che ci sono più donne a lavorare ed è dato tondo e splendido ma quella sfericità copre uno spigolo grosso: l’altra metà del cielo viene pagata di meno, sensibilmente di meno. Succede anche che Logistica, Manifatturiero e Terziario non sono più nicchie-ancelle della grande occupazione di massa, ma che la solidità retributiva di una terra a vocazione industriale ormai è un sogno.

Chi per sue faccende avesse poi la (s)ventura di trovarsi in uno dei piazzali delle città della provincia assisterebbe ad uno spettacolo che dai tempi del Boom era diventato roba da elefante bianco. Nel buio e nel freddo delle ore che precedono l’alba decine di lavoratori si danno appuntamento. Raggruppati come passeri diacci sotto i tigli, le gronde e le pensiline, intorpiditi e con una borsa a tracolla. Parco della Rimembranza a Veroli alle 5.00 del mattino è un esempio da paradigma.

Sono operai edili che vengono caricati dagli immancabili furgoni “Ducato” dei collettori e portati nei grandi cantieri romani. L’edilizia e la carpenteria sono tornate un must. Città come Boville Ernica, Alatri, Ferentino e Cassino (dove una volta di andava “alla parrella”) hanno riscoperto la forza lavoro di un’epoca che sembrava cassata dal magnete della linea di produzione.

Edilizia “mon amour”, ma cambia tutto

Foto © Imagoeconomica

Ma è un magnetismo al contrario: le fabbriche “scappano” all’estero e quando restano stringono il setaccio delle assunzioni. Sono cambiati i meccanismi e se prima il “posto in Fiat” o alla Marangoni erano la prima preoccupazione dopo la naja (fin quando c’era) il diploma o il secondo anno fuori corso, oggi gli ambiti sono altri. E sono ambiti stretti in cui farsi largo a livello esistenziale e realizzativo è difficile.

Lo è perché l’anno scorso nel Frusinate un solo contratto su quattro era stabile, quindi una persona su quattro poteva metter su famiglia e sperare di tenerla a galla senza dover ricorrere ai suoceri, ai “cravattari” o al Lexotan.

I 1321 contratti a tempo indeterminato in meno danno la cifra esatta e triste di una realtà in cui il concetto di lavoro non coincide più con la realizzazione e la spendita sociale a livello sistemico. Lavorare oggi significa campare, non avere un piano di vita. Solo che in barba a questa palese differenza vanno tutti a finire del calderone statistico di un mezzo Rinascimento che non si vede affatto. Perché se è vero che la Ciociaria ha messo il turbo sul lavoro è anche vero che sta correndo in un campionato diverso. E che non si è ancora accorta che c’è un’altra gara da fare.

Lavorare per vivere o vivere per lavorare?

Rider al lavoro. Foto Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Un campionato mezzo annunciato, dove ai box non ci sono team che ti cambiano le gomme e ti danno 13 stipendi l’anno o al limite un po’ di cassa integrazione durante la quale fare il tubista o l’elettricista pret a porter.

E dove il traguardo non è più la vittoria di una famiglia avviata, ma la sopravvivenza di un singolo individuo che, bene o male, mette qualcosa a tavola. E che vive senza sapere bene perché e per cosa lo sta facendo.

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