E’ una guerra di logoramento quella che  si combatte tra contribuenti e fisco nelle aule delle commissioni  tributarie. Negli ultimi 10 anni le giacenze, cioè la quota di  contenziosi aperti, sono praticamente dimezzate nel primo grado,  mentre sono aumentate dell’80,6% nel secondo grado.

E’ quanto emerge  dai dati contenuti nelle relazioni del Ministero dell’Economia e Finanze e della Corte dei conti,  sullo stato del contenzioso tributario, ed elaborati dall’Adnkronos.

Nelle relazioni di monitoraggio sullo stato del contenzioso tributario e sull’attività delle commissioni tributarie del ministero  dell’Economia, si riportano i dati relativi agli ultimi anni.

In  particolare tra il 2007 e il 2017 si registra una riduzione delle  cause aperte del 31,3% che portano il totale da 607.817 a 417.635  ricorsi da giudicare.

L’operazione di smaltimento però non è omogenea. A  ridurre drasticamente le pratiche aperte sono state esclusivamente le  commissioni tributarie provinciali (primo grado), che in 10 anni sono  riuscite a dimezzare la quota di cause pendenti, passando da 522.278 a 263.117 con un calo del 49,6%.

Purtroppo le commissioni tributarie  regionali (secondo grado) non sono riuscite a percorrere la stessa  strada virtuosa e, nello stesso periodo, hanno invece fatto lievitare  le giacenze dell’80,6%, passando da 85.539 a 154.518 cause aperte.

La Corte dei conti, nel dossier sul contenzioso delle commissioni  tributarie, evidenzia che più di una causa su tre è in attesa di  giudizio da un periodo superiore ai tre anni; di questi uno su 10  attende la sentenza da più di 5 anni.

Su un totale pari al 37,1% degli atti pendenti al 31 dicembre 2016, il 27,4% degli atti è giacente da  più di 2 anni e meno di 5 mentre il 9,7% attende da oltre 5 anni. Al  31 dicembre 2016 risultano 811 casi in attesa di giudizio da più di 15 anni; più della metà è fermo ancora al primo grado di giudizio (491  ricorsi).

IL FISCO VINCE 4 A 3

Ma come vanno a finire i ricorsi? Nel 45% dei contenziosi fiscali definiti (dati 2016) ha avuto ragione il fisco, nel 31,5% invece, ha vinto il contribuente. L’11,8% si è risolto con un giudizio intermedio, l’1% con un condono e il 10,7% con un condono o con altri esiti. I dati tengono conto delle pratiche esaminate in tutte le Commissioni tributarie provinciali del Paese.

Lo scarto aumenta quando il risultato è riferito al valore economico del giudizio: gli importi delle sentenze a favore del Fisco sono stati pari al 48,1%, mentre la percentuale di vittoria ad appannaggio del contribuente si è fermata al 23,4%. Anche in Commissione tributaria regionale si registrano più o meno gli stessi differenziali sempre a vantaggio degli uffici del fisco. A rilevarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Insomma, per dirla con gergo calcistico: erario batte contribuente 4-3. Del resto, si deve considerare che far valere le proprie ragioni nei confronti del Fisco, ricorrendo alla giustizia tributaria ha un costo, non solo in termini di tempo, ma anche di denaro. Le cifre che si deve sobbarcare il contribuente variano di molto in relazione alla complessità e al valore della pratica e sono dell’ordine delle migliaia di euro.

Inoltre, va considerato che il ricorso non evita il versamento, anche se parziale, di quanto richiesto dal Fisco. Ad esempio a fronte di un avviso di accertamento è prevista la riscossione di 1/3 delle imposte contestate, mentre prima di ricorrere in secondo grado (in caso di sentenza avversa al contribuente in primo grado) si deve versare 2/3 degli importi dovuti a titolo di imposta ed interessi (al netto di quanto già versato).

Se a ciò si aggiunge che il tempo medio della giustizia tributaria è di circa 2 anni e 2 mesi per ognuno dei due gradi del giudizio, si comprende come per importi “piccoli” al contribuente convenga pagare piuttosto che ricorrere.

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