Le battaglie contro il Covid-19 sono due. La prima è per difendere la salute della gente. La seconda è per tenere in funzione il sistema industriale. Se c’è una cosa che la provincia di Frosinone non può permettersi è lo stop totale delle sue fabbriche. Significherebbe il collasso del suo sistema economico. E sarebbe un collasso mortale: la cancellazione definitiva per centinaia di posti.

Lo stop totale e generalizzato di ogni attività ipotizzato da alcune parti non è realizzabile. Perché proprio il coronavirus ci ha insegnato una cosa: ormai siamo tutti interconnessi e lo sono anche le attività.

Tanto per fare un esempio: fermare le tipografie significherebbe bloccare la stampa dei fogliettini che accompagnano le confezioni di medicine e senza non si possono vendere. Bloccare la raccolta dei rifiuti vuole dire tenere l’immondizia dentro casa con tutte le gravi ripercussioni igieniche che ne derivano. Bloccare i saponifici equivale a lasciare senza detergenti le persone, le lavastoviglie, i pavimenti, le lavatrici. Fermare le fabbriche che ancora riescono ad andare avanti nel pieno e totale rispetto di tutte le precauzioni anti contagio significa far mancare i soldi con i quali finanziare i costi dell’emergenza.

Lavoratore con mascherina Foto © Can Stock Photo / Corepics

Il ministro Roberto Gualtieri domenica sera in diretta a Che Tempo Che Fa è stato chiaro nel suo appello: Chi può pagare le tasse le paghi“. Perché è da lì che derivano i soldi con cui sostenere quelli che invece non ce la fanno.

Il tema centrale non è se fermare o no le fabbriche. Ma assicurare che venga rispettato ciò che sindacati ed industriali nel Lazio hanno stabilito, come una sola voce, la scorsa settimana: garantire le misure anti contagio sui luoghi di lavoro. Difendendo allo stesso tempo la loro salute e la produzione grazie alla quale èpossibile tenere in vita l’economia.

Perché è più fondamentale in provincia di Frosinone che in altre parti d’Italia? Perché qui il sistema sta in piedi grazie all’export: buona parte della nostra produzione industriale è destinata all’estero. E chi deve avere i nostri prodotti sposterà le commesse altrove pur di avere le merci che gli occorrono: il lockdown non è mondiale, ci sarà qualcun altro disposto a fare il lavoro che non facciamo noi. L’italia è il settimo esportatore al mondo e il quinto Paese per avanzo della bilancia commerciale (la differenza tra quanto otteniamo dall’estero vendendo i nostri prodotti e quanto spendiamo per comprarne): in gioco c’è un surplus di 53 miliardi di euro: chiudere e chiudersi sarebbe la catastrofe locale e nazionale.

Significherebbe far cadere quel sistema che genera le risorse attraverso le quali il nostro sistema, i suoi posti di lavoro, possono sperare di resistere.

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